Perchè tanta attenzione sulle nuove applicazioni e sugli studi su mindfulness e trauma? Ci sono almeno due differenze sostanziali nel modo in cui le persone descrivono ricordi di esperienze positive e ricordi di esperienze dolorose: 1) come i ricordi sono stati organizzati; 2) le reazioni fisiche e emotive associate ai singoli ricordi (van der Kolk, 2015).
Eventi particolarmente problematici e dolorosi possono non essere ricordati secondo una coerente sequenza temporale e molti dettagli importanti possono essere stati ignorati o dimenticati. Le diverse sensazioni ed emozioni associate all’evento non sono integrate sempre in una “storia” autobiografica avente un inizio, una parte centrale ed una fine. Nel tempo è possibile che tali frammenti di memoria possano essere riorganizzati in storie e narrazioni più coerenti, ma a differenza di quanto sostenuto da Breuer e Freud nel 1893, oggi la comunità scientifica e clinica è concorde nel sostenere che non è “curativo” in sé il semplice ricordare e/o ricostruire dettagliatamente esperienze problematiche o traumatiche del passato. Il tradurre in linguaggio (talking therapy) le sensazioni fisiche ed emotive ha un effetto trasformativo ma non è sempre sufficiente affinché il dolore associato a tali ricordi si estingua o almeno si riduca. La ricerca attuale ha dimostrato, inoltre, che anche il trattamento cognitivo dell’esposizione ha ottenuto risultati deludenti per il trattamento e la regolazione delle emozioni associate ai flash-back di memorie traumatiche.
La memoria e la gestione di ricordi così problematici pone noi terapeuti dinanzi alla duplice realtà di questi pazienti: il loro essere costantemente in una realtà relativamente sicura ma con un passato doloroso sempre presente, che non gli consente di ristabilire una buona padronanza del proprio corpo e della propria mente. Il paziente, anche in seduta, non sta raccontando sensazioni e emozioni del passato, ma, nell’atto stesso di rievocare particolari ricordi, sta vivendo nel presente sensazioni fisiche ed emozioni dolorose. È frequente osservare una reazione fisica quasi immediata ed involontaria del cervello emotivo che si esprime con significative sensazioni viscerali (quali: accelerazione del battito cardiaco, respiro corto, nodo alla gola, spossatezza, emicrania, rigidità muscolare, rabbia, paura e così via). In simili casi capire “il perché” ci si senta in questo modo non cambia il modo in cui ci si sente. Divenire consapevoli del perché può aiutare a limitare una reazione ulteriormente impulsiva, ma non cambia “il sentire”, ovvero la percezione di simili emozioni e sensazioni così intense nel presente. Progressivamente non è più tanto la paura che un episodio possa ripetersi, quanto la paura di (ri)vivere simili sensazioni nel presente.
In simili casi potrebbe essere utile aiutare il paziente a raggiungere alcuni obiettivi (ibidem):
- Individuare nuove strategie per sentirsi più tranquilli
- Imparare ad osservare con calma pensieri, immagini, sensazioni e emozioni associate a quei ricordi
- Imparare ad essere nel qui ed ora del momento presente
- Non aver paura e non utilizzare strategie di evitamento di esperienze negative (evitamento esperienziale)
Esistono diversi approcci e metodi scientifici che possono aiutarci nel conseguimento di simili scopi e gran parte delle persone ottiene maggiori benefici seguendo approcci differenti, magari in diversi stadi del proprio percorso psicoterapeutico (Aquilar, 2013).
L’obiettivo più importante nella gestione dei ricordi problematici e dolorosi può essere quello di ripristinare un equilibrio tra il cervello razionale e quello emotivo, ossia di aiutare i pazienti a rientrare nella “finestra di tolleranza” emotiva che gli consenta di funzionare al meglio per elaborare ed integrare isole di memorie disorganizzate e dissociate. Nel rievocare scene del passato, se in iperarousal (stato di allerta) o in ipoarousal (collasso), i pazienti non possono, infatti, apprendere correttamente dall’esperienza terapeutica anche se, grazie ad una “sicura” relazione terapeutica, riescono a mantenere il controllo in seduta. Per un cambiamento delle reazioni automatiche ed emotive legate a simili ricordi è necessario riparare il sistema di allarme fallace di questi pazienti.
La ricerca neuro scientifica ha evidenziato che è possibile modificare le sensazioni e le emozioni legate a ricordi problematici soprattutto grazie ad una maggiore consapevolezza della nostra esperienza interiore (interocezione) e ad una maggiore “amicizia” con la nostra mente e il nostro corpo.
La mindfulness come sistema di autoregolazione
Circa l’80% delle informazioni relative alle emozioni partono dal corpo (principalmente dagli organi interni) e arrivano al cervello, attraverso le fibre che compongono il nervo vago. Ciò significa che le emozioni vengono registrate anche nel corpo e che, grazie al respiro, al movimento e all’alimentazione, possiamo regolare il nostro sistema di arousal, ovvero possiamo attivare intenzionalmente e volontariamente il nostro sistema nervoso parasimpatico per calmarci quando siamo in iperarousal ritornando,così, nel range della nostra finestra di tolleranza.
Nell’ultimo decennio la psichiatria e la psicoterapia occidentale dominante hanno mostrato un crescente interesse rispetto ad alcune pratiche meditative e corporee in grado di facilitare tali processi di autoregolazione.
Tradizioni religiose e terapeutiche di tutto il mondo fanno affidamento alla mindfulness, nei termini di una consapevolezza costante rispetto al proprio mondo interiore ed al contesto esterno, momento dopo momento. Potremmo definire, infatti, la mindfulness come “un’attenzione intenzionale non giudicante e costante al corpo e agli stati mentali presenti”. Una consapevolezza continua al momento presente si è dimostrata essere, infatti, di grande aiuto nel sostituire reazioni automatiche disfunzionali con risposte consapevoli più adattive.
Riconoscendo la natura transitoria dei nostri sentimenti e delle nostre percezioni, la mindfulness ci invita ad aprirci all’esperienza interna così com’è, distinguendo, etichettando e osservando i pensieri, le sensazioni e le emozioni così come spontaneamente sorgono e svaniscono.
Mantenere un’attenzione costante senza preferenze (senza cercare di evitare sensazioni negative o di raggiungere necessariamente uno stato di rilassamento) al proprio respiro e alle sensazioni fisiche per qualche minuto può “calmare” il sistema nervoso simpatico, disattivando meccanismi neurofisiologici istintivi di attacco/fuga.
La ricerca di Holzel e i suoi colleghi (2011) ha ampiamente dimostrato che la meditazione coinvolge diverse aree cerebrali coinvolte nella regolazione emotiva (in particolar modo il PFC dorsomediale, il PFC ventrolaterale e il cingolato rostrale anteriore), inducendo cambiamenti neuroplastici significativi in regioni correlate alla consapevolezza del corpo e alla paura. Più specificamente il suo gruppo di lavoro ha identificato quattro principali mediatori di cambiamento attraverso i quali opera la mindfulness:
- Regolazione dell’attenzione
- Consapevolezza del proprio corpo
- Regolazione emotiva, che include: reappraisal ed esposizione, estinzione e riconsolidamento
- Cambiamento della prospettiva di sè
Grazie alla pratica meditativa è possibile prima osservare in che modo sensazioni e emozioni “abitano” il corpo e poi in che modo si reagisce ad esse; nel tempo aumentano sia la consapevolezza e la conoscenza di come il corpo organizza emozioni o ricordi specifici, sia il senso di controllo delle proprie reazioni (self-leadership). Progressivamente diviene possibile aprirsi anche alle sensazioni e agli impulsi più intensi, un tempo bloccati per permetterci di sopravvivere (van der Kolk, 2015). Più calmi e con un maggiore senso di padroneggiamento è possibile rivedere scene del passato senza esserne travolti. A poco a poco è possibile imparare a osservare, tollerare e quindi regolare le proprie reazioni fisiche nel rivisitare un passato doloroso, così che rievocare il passato non rappresenti più in sé un’esperienza dolorosa o traumatica.
La mindfulness può assumere il ruolo di funzione integratrice di “energie disperse e reattive della nostra mente in un’unica sorgente di energia coerente”, preziosissima per gestire la riattualizzazione nel presente di esperienze passate dolorose (Kabat Zinn, 2010).
Mindfulness Based Extinctions and Reconsolidation (TIMBER)
Il Mindfulness Based Extinctions and Reconsolidation (TIMBER) è un modello di psicoterapia cognitivo-comportamentale mindfulness based, principalmente indicato per il trattamento del Disturbo Post Traumatico da Stress. Tale programma integra i principi del Mindfulness Based Graded Exposure Therapy (M-BET) di Pradhan (2014) con le recenti scoperte neurobiologiche sulla formazione e ristrutturazione delle memorie traumatiche (Monfils, Cowansage, Klann, & LeDoux, 2009; Schiller et al., 2010; Shin & Liberzon, 2010; Siegelbaum & Kandel, 2013).
Anche se incorpora elementi di spiritualità orientale, non è di natura religiosa. I pazienti (e familiari, se necessario) apprendono la filosofia, le tecniche e la pratica della presenza mentale sotto la diretta supervisione di un medico esperto che pratica di solito con i pazienti durante le sessioni di terapia e di esposizione mindfulness. Il modello TIMBER non è fisicamente impegnativo e ha dimostrato di essere fattibile per persone dai 14 ai 65 anni. È costituito da due tipi di interventi: una versione completa e una versione più breve. La versione completa dura 45-60 minuti e utilizza la terapia cognitiva basata sullo yoga consapevole (protocolli Y-MBCT standardizzati) e la terapia di esposizione mindfulness based di Pradhan (2014).
Secondo questo modello ogni esperienza diviene un “sistema di risposta” appreso. Esperienze significativamente dolorose includono memorie dell’evento e risposte psicofisiche intense collegate a tali memorie, con la possibilità di rivivere nel presente tali sensazioni ed emozioni dolorose.
Inizialmente tali memorie sono labili, ma progressivamente si consolidano in tracce di memorie rigide grazie alla sintesi di nuove proteine (McGaugh, 2000). Ciò comporta l’impiego di due meccanismi della memoria e dell’apprendimento apparentemente opposti: il riconsolidamento e l’estinzione (Nader, Schafe, & Le Doux, 2000).
Come suggerisce il nome, Timber integra elementi sia di estinzione che di riconsolidamento in combinazioni diverse a seconda dell’evento traumatico vissuto (Alberini, 2013). La ristrutturazione cognitivo-emotiva avviene favorendo dapprima una destabilizzazione dei ricordi traumatici (così che possano tornare ad essere “labili”) e poi la formazione di nuovi ricordi emotivamente neutri (senza paura), con l’aspettativa che queste nuove memorie diventino nel tempo permanenti e possano sostituire le precedenti.
In una sessione completa, ad esempio, viene chiesto al paziente di rievocare un episodio doloroso. Una volta che lo stato di arousal è attivo vuol dire che la memoria è più labile e quindi accessibile. Il paziente è invitato a portare l’attenzione al momento presente con tecniche cognitivo-comportamentali mindfulness based tra cui la meditazione sul respiro, la meditazione “aperta” e il mindful yoga. I ricordi traumatici iniziali vengono rivalutati in un contesto di maggiore sicurezza e calma, così che i pazienti possono successivamente anche da soli utilizzare queste tecniche per auto-regolare le proprie reazioni di iperarausal o ipoarausal.
TIMBER differisce dal trattamento tradizionale basato unicamente sull’esposizione soprattutto per due aspetti: 1) come suggerisce il nome, TIMBER coinvolge entrambi i meccanismi di estinzione e riconsolidamento e non solo processi di estinzione e 2) le tecniche utilizzate sono specificamente mirate a regolare la risposta di iperaorusal e a rivalutare l’esperienza in uno stato meditativo. Il paziente, così, non solo impara a regolare la risposta di ipervigilanza ma ri-assembla i ricordi traumatici in nuove forme di apprendimento.