Le ali della consapevolezza: gentilezza amorevole e compassione. Stati della mente relativamente stabili e le esperienze del momento presente possono essere influenzate dal nostro atteggiamento verso le difficoltà tanto – se non di più – quanto lo sono le difficoltà stesse. Osservare il proprio atteggiamento richiede costanza ed intenzionalità. L’intenzionalità ci ricorda il valore della motivazione e dell’impegno in questo percorso. Più spazio daremo alla meditazione tanta più spaziosità e padronanza avremo delle nostre menti. L’obiettivo non è raggiungere uno stato di nirvana o divenire abili meditatori, quanto l’essere mossi dal desiderio di osservare e ridurre la sofferenza, modificando la relazione che abbiamo con essa stessa. Solo grazie ad un atteggiamento non giudicante è possibile essere più accoglienti ed accettare cose del passato o del presente che non possiamo cambiare (Greenberg & Safran, 1987).
Baer e il suo gruppo di lavoro (2006) sottolineano, in particolar modo, cinque fattori di cambiamento grazie alla mindfulness:
- Osservare e prestare attenzione a fenomeni interni ed esterni, momento dopo momento
- Descrivere e acquisire sempre maggiore capacità di tradurre in parole e definizioni i fenomeni osservati
- Agire consapevolmente e scegliere con consapevolezza la risposta più adeguata alla circostanza presente (in contrapposizione al “pilota automatico”, ossia al comportarsi in modo meccanico, senza consapevolezza delle proprie azioni)
- Non reagire all’esperienza interna e lasciare che i pensieri e le emozioni vadano e vengano, senza esserne trascinati o catturati
- Non giudicare l’esperienza interna e assumere un atteggiamento non valutativo nei confronti delle sensazioni, delle emozioni e dei pensieri
Abbiamo visto in che modo interventi basati sulla mindfulness possano favorire la regolazione delle emozioni e una risposta adattiva alle stesse, specialmente relativamente agli effetti a lungo termine dell’attivazione emotiva (Williams, 2010). Certamente osservare e descrivere sensazioni fisiche ed emozioni favorisce la consapevolezza e la comprensione delle stesse, oltre ad incrementare le capacità di differenziarle, regolarle e esprimerle adeguatamente (Baer et al., 2012). Un training di mindfulness può insegnare che le emozioni possono essere percepite e tollerate, senza il bisogno di reagire impulsivamente e senza esserne spaventati e travolti, ma che, anzi, le emozioni rivestono un ruolo essenziale per il nostro benessere. Non viviamo per emozionarci, infatti, ma ci emozioniamo per vivere (Amadei, 2013).
La chiave di questo processo di cambiamento risiede, tuttavia, soprattutto nelle qualità di questo tipo di consapevolezza. Qualità di accoglienza (non giudizio), gentilezza e compassione sono peculiarità (forse imprescindibili) della mindfulness (Kabat Zinn, 2014).
Nell’ultimo decennio in quasi tutti i programmi di mindfulness vi è l’introduzione di alcune pratiche meditative delle sane “attitudini” della tradizione Vipassana. Sono meditazioni riflessive, quali la meditazione della Gentilezza Amorevole (Metta) e la Compassione (Karuna), per “compensare” ed “apprezzare” la preziosità del proprio vivere. Siamo, infatti, soliti soffermarci unicamente sulle difficoltà e mancanze, mentre raramente osserviamo le qualità positive ed il benessere che abbiamo. Spesso siamo agitati per la nostra mancata o inadeguata reazione ad una data esperienza, più che per la esperienza in sé stessa. Ci giudichiamo per aver provato paura o vergogna, ci giudichiamo per non aver avuto la risposta pronta o per aver esagerato nelle nostre reazioni. Questo spietato giudizio critico aumenta sempre più il senso di colpa e di inadeguatezza, probabilmente rispetto ad un ideale – forse inconscio – di essere capaci, buoni e saggi. Il passato lascia spesso un segno indelebile sulla nostra identità e ogni pensiero diviene un pesante verdetto che limita la nostra libertà.
La Gentilezza Amorevole, in contrapposizione, si caratterizza come uno stato mentale che promuove aspetti del benessere quali la premurosità, la benevolenza, l’affetto e la gentilezza. Tra i suoi significati, la parola Metta, ha quello di “coltivare l’amicizia”, ovvero l’invito a fare amicizia e il (ri)appacificarsi con la propria mente, il proprio cuore ed il proprio corpo. “Coltivare significa che nell’orto della nostra vita possiamo seminare ciò che desideriamo vedere fiorire e maturare, ciò di cui vogliamo nutrirci” (Pensa e Papachristou, 2012, pag.181). Coltivare la Gentilezza amorevole significa coltivare un interesse sincero per ciò che ci unisce piuttosto che per ciò che ci separa. I semi della gentilezza sono la capacità di perdonare sé stessi e gli altri, così come la capacità di prendersi cura di sé stessi e degli altri, con sollecitudine, tenerezza e pazienza. Ad esempio, nel ricordarci di persone che ci hanno ferito, potremmo provare rabbia, umiliazione e angoscia; coltivare, dunque, un interesse sincero per noi stessi ed in ciò che ci unisce all’altro può consentirci di osservare con consapevolezza e benevolenza proprio questo risentimento.
Potremmo provare questo stesso risentimento ogni qualvolta ci imbattiamo nella sofferenza. Quando la consapevolezza si apre ad esperienze dolorose parliamo, più specificamente, di Compassione. Al contrario delle reazioni di rifiuto e dei costanti tentativi volti ad ignorare la sofferenza presente, la Compassione è la pronta sollecitudine al dolore; è l’accoglierlo e l’interessarsi ad esso con amore, pazienza, fiducia e impegno. Implica l’accoglienza della dolorosa verità del momento presente così come è, nutrendo e conservando costantemente il desiderio di prendersene cura con tenerezza, etica e forza.
La consapevolezza e il bisogno di pace possono gradualmente sostituire l’impulsiva proliferazione mentale, “capace di far crescere a dismisura anche la più piccola reattività” (ibidem). Non è un invito ad accettare soprusi e umiliazioni (e ancor meno pena e commiserazione) quanto piuttosto l’essere solleciti nel prendersi cura delle proprie ferite, lasciando andare quel sentimento di separazione, solitudine e inadeguatezza che proviamo in molte situazioni conflittuali e dolorose.
Il modo più facile, quindi, per iniziare a gestire i ricordi del passato, il dolore per il presente e le preoccupazioni per il futuro, è anzitutto smettere di tentare di perseguire a tutti i costi il copione delle nostre aspettative (di come dovremmo essere noi o di come dovrebbero essere gli altri o di come dovrebbero andare le cose o di come dovrebbe andare la seduta di meditazione). “Accogliere l’esperienza” significa fare spazio a tutto ciò che accade, ossia essere consapevoli di ciò che accade nel momento esatto in cui accade. Significa, in altre parole, limitarsi semplicemente ad osservare quello che in effetti è già presente. È questo il modo di entrare in relazione con l’esperienza senza giudizio e senza preferenze. È questo tipo di calma e stabilità che meglio promuove la possibilità di osservare l’esperienza senza esserne travolti.
Anche meditanti più stagionati, se agitati, possono continuare a fare esperienza, in una sessione di meditazione, dell’irrequieto vagare della mente. In tal senso non c’è differenza tra chi si avvicina alla pratica solo ora, da chi già la coltiva da più tempo. Ancora una volta la differenza può risiedere nella risposta forse più accogliente e curiosa (il desiderio di conoscere cosa sta accadendo) del meditante più “esperto”. Quando, ad esempio, la consapevolezza continua ad essere allontanata dal respiro (o da un altro fuoco di attenzione) perché catturata da particolari sensazioni fisiche (disagio fisico, emozioni o sentimenti), il primo passo potrebbe essere prendere piena consapevolezza di queste sensazioni fisiche – ovvero spostare deliberatamente il fuoco della consapevolezza verso la parte del corpo in cui queste sensazioni sono più intense – e poi osservare, per il tempo necessario, il possibile trasformarsi di tali sensazioni e la relazione/reazione che ne scaturisce nel tempo.
Accettazione non significa rassegnazione e rappresenta forse una qualità indispensabile per conoscere la verità del momento presente e, dunque, rispondere e agire in modo congruo con i nostri desideri e bisogni (Segal, Williams e Teasdale, 2002). È un arrendersi all’esperienza del singolo momento, abbandonando ogni necessità di scappare o di “sistemare le cose”. È una consapevolezza totale indicativa di un momento di pura percezione fuori dal tempo, in un luogo sicuro dove è possibile convivere e imparare sia da ciò che amiamo sia da ciò che odiamo di noi stessi. “La vita si limita ad essere e quell’essere ti prende, ti afferra con tutti i sensi e tutti i ricordi fin dentro i geni, in ciò che più ami, e ti dice: benvenuto a casa” (Kabat Zinn, 2006).