Avere cura delle relazioni con la mindfulness.

Cosa vuol dire avere cura delle relazioni con la mindfulness? Quanto spesso accade che le relazioni, anche le più belle, diventino improvvisamente fonte di stress? Talvolta, senza una motivazione specifica, finiamo con l’avvertire sensazioni di frustrazione, solitudine, rabbia, delusione e insofferenza; magari vorremmo sentirci maggiormente apprezzati, oppure ricevere maggiore sostegno ed essere ricambiati  nei momenti di bisogno, soprattutto da quelle persone per le quali ci siamo sacrificati in passato.

Questo potrebbe capitarci in diversi contesti, ad esempio con i nostri colleghi, oppure con gli amici e i parenti.

Il primo passo è nel riconoscere che c’è sempre una reciproca responsabilità.

Il secondo è di osservare con una “mente saggia” (Pensa, 2002), ossia calma e non giudicante, la natura e la qualità delle nostre azioni, emozioni e pensieri nelle relazioni, momento dopo momento. Maggiormente ci disponiamo ad un’osservazione aperta e distaccata (obiettiva), tanto più è possibile modificare alcuni meccanismi disfunzionali cristallizzatisi nel tempo.

L’osservazione e l’ascolto sono aspetti indispensabili per stabilire una connessione profonda con noi stessi e con ciò che ci circonda, ed è solo con una mente equanime (che lascia spazio ad ogni pensiero ed emozione così come si presentano) è possibile modificare la nostra relazione con la sofferenza (Segal, Williams e Teasdale, 2002). Non è possibile, infatti, evitare il dolore, ma è possibile cambiare la nostra relazione con esso. Scoprire di avere una brutta malattia può bloccare ogni settore delle nostre vite se ci identifichiamo esclusivamente con il nostro ruolo di ammalato. Cambiare la relazione con questa consapevolezza, può significare lasciare che nelle nostre vite ci sia spazio anche per altro anche se siamo ammalati.

I nostri pensieri, pregiudizi e stati mentali, seppure transitori, possono influenzare fortemente i nostri comportamenti, il nostro umore e finanche la nostra visione e interpretazione della realtà.

Un allenamento costante alla consapevolezza, può consentirci di creare un po’ di distanza e di osservare con maggiore serenità i nostri pensieri, sensazioni ed emozioni, consentendoci di riflettere su altre possibilità di punti di vista e sul riconoscere che potremmo agire diversamente nelle nostre relazioni, o ad accettare che alcune relazioni non possono essere modificate e meglio valutare se vale la pena mantenerle.

Solitamente i maggiori ostacoli nell’intraprendere un percorso di consapevolezza sono i pensieri pessimisti (“non cambierò mai”, “tutto è inutile”) o la nostra tendenza a scaricare al contesto o agli altri tutta la responsabilità della nostra sofferenza.

Di conseguenza, è estremamente importante riconoscere questi pensieri come “pensieri negativi”, riconoscere quali stati mentali problematici si affacciano più frequentemente nella nostra mente (Aquilar e Pugliese, 2011) e non abbandonare automaticamente ogni tentativo di trovare nuove strade per gestire al meglio le nostre vite (Segal, Williams e Teasdale, 2002).

Il terzo passo consiste nel prendersi cura del proprio tempo. Ciò che facciamo del nostro tempo, momento dopo momento, può condizionare fortemente il nostro benessere e la nostra capacità di affrontare efficacemente le difficoltà.

Provate a porvi le seguenti domande:

  1. Delle cose che faccio, quale mi nutre, quale mi prosciuga?
  2. Quanto spesso mi sento vivo o sono in quello che faccio, e quanto spesso semplicemente “faccio”?
  3. Quanto sono consapevole di come trascorro il mio tempo? quanto tempo realmente dedico alle mie relazioni e “incarno” nella mia vita i miei valori? In una scala di valori potremmo sentire che al primo posto ci sono i figli ma di fatto possiamo un decimo delle nostre giornate con loro (Aquilar, 2014)
  4. Quanto spesso si affacciano pensieri nella mia mente tipo: “Vorrei solo fuggire da tutto questo!”, “Non cambierà mai nulla” che appartengono, ad esempio, alla sfera della depressione?; oppure pensieri negativi quali “Ho paura di scoprire qualcosa di brutto”, “Ho paura di cambiare” che appartengono, invece, per lo più all’ansia?.

Il quarto passo è scegliere un’attività fisica quotidiana (come il camminare ogni giorno per almeno 10 minuti preferibilmente all’aperto, o se possibile altri tipi di esercizi fisici come lo yoga, lo stretching, il nuoto, ecc), uno dei modi più semplici ma fondamentali per il nostro benessere fisico e mentale. Solitamente, infatti, tali attività possono essere anche una risposta che potrebbe aiutarci a star meglio non appena si presentino stati d’animo negativi.

Il quinto passo è utilizzare le difficoltà delle relazioni come strumento di conoscenza, osservazione e cambiamento. Solitamente il problema non è nel fatto che l’altro sia la persona sbagliata ma quale sia l’aspetto delle relazioni che magari ci ferisce sempre. Cosa ho sentito e pensato durante una precisa discussione (ad esempio, un litigio con mio marito)? Esattamente cosa, quale specifico ingrediente mi ha provocato tanta rabbia (ad esempio il fatto che lui non riconosca la mia stanchezza perché sono una casalinga)? Questo specifico ingrediente è fonte di rabbia anche in altre relazioni (il non essere capita mi fa sempre molto arrabbiare)? Se si, in che modo mi cattura questo ingrediente (continuo a ripetermi che gli altri sono egoisti e che io dovrei comportarmi male come loro per essere capita)? perché mi colpisce tanto (perché credo accada solo a me)? cosa potrebbe aiutarmi per non essere così ferita da questo ingrediente  (riconoscere che la mia rabbia è alimentata da credenze errate e parziali, e sostituirle con altre forse più obbiettive, ad esempio, osservando che di fatto mio marito non stava dicendo che io non faccio nulla e che non ho diritto ad essere stanca, ma semplicemente non voleva in quel momento buttare la spazzatura)? Più esattamente, quindi, quale è la vera fonte della mia agitazione (il sentirmi sempre in colpa quando non riesco a fare tutto quello che credo spetti a me fare)?

 

Riassumendo, seguendo le parole di Pema Chodron (1994): “Se qualcuno arriva e spara una freccia nel tuo cuore, è inutile stare lì a urlare contro quella persona. Sarebbe molto meglio per te trasportare quest’attenzione sul fatto che c’è una freccia nel tuo cuore”.

E’ molto più importante prima prendersi cura delle nostre ferite, capire in che modo queste ferite stanno influenzando le nostre vite negativamente, come fortificarci per questo tipo di ferite, per poi scegliere di combattere o meno contro la persona che ci ha ferito. tutto questo potrebbe non essere sufficiente se dovessimo dimenticare di incarnare nelle nostre vite i valori in cui maggiormente crediamo, dedicare del tempo e prenderci cura delle cose e le persone che amiamo, partendo, ovviamente, dal ricordarci ogni giorno di amare noi stessi (Pensa e Papacrhitou, 2013).