La fonte principale delle nostre rotture nei legami affettivi e difficoltà relazionali risiede nella “nostra relazione ferita con l’amore stesso” (Welwood, 2007). E’ la nostra sfiducia e poco amore verso noi stessi a convincerci di non essere amabili; è l’aver confuso il fallimento di una relazione con il nostro fallimento personale ad averci scoraggiati; è l’aver fatto qualunque cosa per amore che ci spinge a credere di non poter essere amati o di non essere pienamente degni d’amore solo per quello che siamo; è l’esser stati delusi e aver scelto di non amare per non avere altre delusioni a renderci ancora soli.
L’insicurezza profonda rende talvolta impossibile credere in noi stessi, negli altri o persino nella vita stessa.
Capire e riconoscere la fonte di tale insicurezza può essere utile ma non sufficiente, e addirittura talvolta potremmo non essere in grado di accettare, comprendere e sostenere simili ricordi e conoscenze.
Più “semplice” e proficuo potrebbe essere, ad esempio, il predisporsi in un atteggiamento di calma e pazienza, che ci aiuti ad osservare nel momento presente le nostre relazioni, provando ad osservare cosa realmente sta accadendo nella nostra mente e nel nostro cuore momento dopo momento. Potremmo osservare, così, strani comportamenti, come ad esempio l’indugiare in situazioni dannose sebbene si possano cambiare, o l’accanirsi per cambiare una realtà che non può essere modificata (Amadei, 2013).
Molto spesso, infatti, i motivi che portano alla rottura dei legami amorosi sono legati a due fattori: il tentativo costante di evitare emozioni o pensieri dolorosi e il non vivere nel rispetto dei valori in cui crediamo.
C’è un ampia lista di emozioni che vorremmo evitare (come ad esempio, la tristezza, il dolore, la solitudine, la paura), così come esistono molti pensieri che vorremmo scacciare, (come il sentirsi indegni o non amabili, o i pensieri che hanno a che fare con il fallimento e il disprezzo). Non appena sentiamo che uno di questi ospiti sta “arrivando” subito tentiamo di fuggire via lontano.
Per tutta la vita ci è stato dato il messaggio di essere felici e fiduciosi. Questo messaggio certamente determina le aspettative che noi abbiamo delle relazioni sentimentali, per cui crediamo che una buona relazione “è una relazione felice!”. Ed una relazione felice, secondo molte persone, è una relazione in cui noi siamo felici, il nostro partner è felice, le famiglie di entrambi sono felici di questa nostra felicità…e magari anche il nostro cane è felice! La verità è che non è assolutamente così nella vita reale.
In primo luogo una buona relazione non è una relazione felice, ma una relazione fondata sull’essere vissuta pienamente con coraggio e vitalità. Ovviamente questo comporterà momenti di gioia, amore, piacere, sicurezza, e magari proprio la felicità, ma anche il vivere entrambi l’ansia, il dolore la tristezza o la paura. L’obiettivo non è raggiungere la felicità, ma il vivere pienamente l’ampio spettro delle emozioni umane che scaturiscono da una relazione, poiché:
- è impossibile non avere una esperienza dolorosa,
- non possiamo che osservare e accettare che qualche volta abbiamo dei pensieri che non vorremmo avere,
- è inutile spendere tante risorse ed energie per evitare emozioni e pensieri che non ci piacciono,
- è nell’essenza dell’essere umano il sentire dolore.
La sofferenza è, infatti, una parte naturale della nostra esperienza. Le emozioni negative sono come delle spie di una macchina che ci informano quando qualcosa sta per andare o sta andando male, avvisandoci e orientandoci su cosa fare per evitare il più possibile “danni” (Aquilar, 2008).
Tali esperienze non devono essere trattate come ospiti non graditi.
Seguendo le parole di Chinua Achebe (1966): “se la sofferenza bussasse alla tua porta e tu rispondessi che non c’è posto per lei, lei ti risponderebbe di non preoccuparti poiché ha con sé il proprio sgabello”. In altre parole, non ci può piacere la sofferenza, ma un’aperta, attenta e accurata consapevolezza potrebbe aiutarci a cenare con lei qualche volta quando sceglie di sedere al nostro tavolo. Per fortuna, se non alimentato dai nostri pensieri, il dolore non vuol restare al nostro tavolo a lungo. Tuttavia, ancora una volta, non sorprendiamoci quando tornerà a farci visita!
Bisogna essere molto attenti a non fraintendere il concetto dell’inevitabilità e accettazione della sofferenza. La mindfulness assolutamente non è un percorso che invita ad indugiare o al procurarsi la sofferenza, ma un invito a poter godere di ogni emozione (anche e soprattutto quelle positive, dato che solitamente sono quelle a cui diamo meno importanza!), imparando a conviverci, gestirle, esprimerle così come sono nella loro natura senza l’influenza dei nostri pensieri e schemi automatici disfunzionali appresi.